Recensione a Luigi Mascilli Migliorini, L’ultima stanza di Napoleone. Memorie di Sant’Elena, Salerno, Roma 2021
di Armando PepeL’ultima
stanza di Napoleone. Memorie di Sant’Elena di Luigi Mascilli
Migliorini, pubblicato da Salerno Editrice nella collana «Mosaici» è un agile volume che si legge tutto d’un fiato e che spicca tra le moltissime e talvolta stancanti pubblicazioni dedicate all'arcistudiato «Imperatore dei francesi» in questo anno napoleonico. Questo perché il libro non è soltanto la biografia
di Napoleone negli ultimi anni di vita, ma è anche altro: analisi psicologica
finemente condotta, aneddotica ricavata da un’infinità di saggi storici e
romanzi, componenti essenziali nella ricostruzione di un’identità complessa e
affascinante, per cui vige il criterio dell’inesauribilità. Intorno alla vita
di Napoleone si potrebbero raccogliere migliaia di libri, tanti da riempirne
un’intera biblioteca; l’Autore, utilizzando un’abbondante crestomazia, è
riuscito nell’intento di condensare il tanto nel poco, producendo un ritratto
che, per brio e garbo narrativo, ricorda «Il generale nel suo labirinto», il
romanzo che Gabriel García Márquez scrisse per raccontare il tramonto umano del
generale Simón Bolivar, «El Libertador» del Sudamerica. Singolare destino
quello di Napoleone che, nato in un’isola selvaggia, ha come palcoscenico
esistenziale il Mediterraneo, l’Egitto e l’Europa intera, costretto a
soggiornare sull’Isola d’Elba, morendo relegato a Sant’Elena, una piccola isola
di 121,7 chilometri quadrati situata nell’Oceano Atlantico centromeridionale. L’accuratezza
con cui Mascilli Migliorini descrive la flora isolana e l’attenzione al minimo
dettaglio aiutano il lettore ad immergersi nell’atmosfera; sembra di sfogliare
le pagine di un romanzo del narratore tedesco Winfried Georg Sebald, con il
quale l’Autore ha in comune quella capacità di cogliere l’attimo. A bordo della
nave inglese Northumberland, avvicinandosi a Sant’Elena, a Napoleone «parve di
scorgerla. A prua, nella luce imprecisa della notte che stava scendendo gli
sembrò di intuirne il profilo, di riconoscere infine “la piccola isola”. Aveva
scritto così ai margini del vasto atlante geografico che aveva accolto i suoi
sogni di adolescente, mille volte sfogliato, mille volte annotato mentre era un
giovanissimo studente della scuola militare di Brienne, e sul quale, chissà mai
perché, la sua penna era un giorno caduta su quel minuscolo, insignificante
punto sperduto in mezzo all’Oceano» (p. 1). Era una predestinazione? Chissà. La
proverbiale irrequietezza napoleonica, per la quale è stato definito «homme
pressé», «quale ce lo dipinge lo scrittore francese Paul Morand, facendone
l’icona di una novecentesca condanna alla velocità» (p. 11), non trovò requie
nemmeno a Sant’Elena. «A più di duemila migli nautiche (quasi quattromila
chilometri in misura terrestre) dal Brasile, a circa millequattrocento miglia
dalla più vicina costa africana, l’isola di Sant’Elena poteva facilmente essere
considerata “il posto più isolato, più irraggiungibile, più difficile da
attaccare, il più povero, il più insocievole e il più caro del mondo”» (p. 20).
Nonostante tutto, amarezze incomprensioni a parte, Napoleone continuò, con la
consueta energia che sprizzava da tutti i pori, a vivere incessantemente,
sempre pieno di progetti e propositi da attuare. Non più imperatore dei
francesi, ma semplicemente «generale Bonaparte» – titolo usato quando gli si
rivolgevano i prigionieri inglesi –, fu condotto a «Longwood, il luogo destinato
a ospitarlo in maniera definitiva, ma al quale occorrevano ancora diverse
settimane di lavoro per essere davvero pronto per abitarvi» (p. 26). I fili dei
racconti, di cui è composto il libro, si riannodano offrendo uno sguardo
parallelo, una prospettiva plurale, come se Napoleone stesse all’interno di un
panopticon, un ideale carcere verdeggiante. Stando in mezzo ad una piccola
corte, in cui c’era il fido maresciallo Bertrand, i giorni trascorrevano
placidi eppur operosi; Napoleone accoglieva le novità « e dunque anche i
disagi, della sua mutata condizione, con il gusto di chi vi ritrovava tracce
perdute, sentieri smarriti del proprio passato» (p. 31), era talvolta anche
giocoso, prestandosi favorevolmente a «scherzi fuor di luogo, come quando Betsy
[un’adolescente inglese che aveva familiarità con Napoleone] gli aveva, a bella
posta, fatto arrivare vicino Tom Pipes, il cane di casa, un magnifico terranova
che era appena uscito dalla grande vasca del giardino e si era scrollato
vigorosamente l’acqua di dosso, inzuppando l’Imperatore e, cosa ancor più
grave, rendendo inservibili i fogli sui quali, come d’abitudine, egli stava
prendendo note per le sue Memorie» (p. 31). L’Autore indugia, divertendosi – e fa
bene anche per stemperare la tensione di una drammaticità preconizzata –, sul
senso del paradosso, «il rovesciamento di senso e di proporzioni accettato,
voluto da Napoleone nel suo travestirsi, nel suo mascherarsi, esibisce, così,
la tragicità dell’accaduto senza adottare la grammatica del dramma bensì quella
del grottesco. Il Napoleone, che ogni mattina costruiva il proprio monumento raccontando
la campagna d’Italia, era lo stesso che più tardi, verso sera, passeggiava in
compagnia di Gourgaud [un generale della sua piccola corte] per un prato dove
pascolavano le mucche. “Una di queste, spaventatasi, improvvisamente gli si
rivolse contro, au pas de charge, con
le corna in avanti”. Napoleone batté in ritirata con destrezza e rapidità,
saltando lestamente dall’altra parte di un muro che gli fece da bastione;
bucolica Waterloo nella quale Napoleone scappa a gambe levate» (pp. 35-36). Selvaggia
prigione, lontana dalla civiltà, dove non era possibile trovare un succedaneo
della vita brillante e galante di stampo europeo se non nelle innumerevoli
letture che Napoleone, lettore forte, anzi fortissimo, ardentemente desiderava.
Si faceva arrivare casse e casse di libri, fino a mettere insieme una notevole
biblioteca, cosa non facile, date le comunicazioni tra l’isola e la terraferma.
Una passione, quella della lettura, che condivideva con Simón Bolivar. «I libri
venivano disposti negli scaffali che già accoglievano i pochi volumi, circa
seicento, che egli aveva portato con sé, rilegati con le insegne imperiali e
provenienti dalla biblioteca di Trianon. Prendeva vita, dunque, la biblioteca
di Sant’Elena, un insieme di volumi che avrebbero accompagnato le ore di
Napoleone e dei suoi compagni, spesso restii a restituire i libri presi in
prestito, con grande imbarazzo di Alì [un fedelissimo factotum] e ira di Napoleone non appena si accorgeva di
un testo mancante» (p. 71). Una biblioteca che si accrebbe nel corso degli anni
e costituì un intensissimo motivo di svago, anche per sfuggire alle insidiose e
sgradite premure degli inglesi, che intanto osservavano puntigliosamente ogni
minima azione. A rendere più stretto lo
spazio della solitudine ci pensò il governatore di Sant’Elena sir Hudson Lowe,
«gli si conoscevano poche amicizie, nessun legame familiare; molti pensavano,
non a torto, a una sua omosessualità» (p. 61). Parecchie furono le angherie e
le meschinità cui Napoleone fu sottoposto fino alla dipartita terrena, avvenuta
il 5 maggio 1821, eternata da Alessandro Manzoni e imparata a memoria nelle
scuole italiane.