Le piccole beghe familiari dei Firpo nella grande storia della Utet
A suo modo "libro-rivelazione" e a dir poco sconcertante, pur sin qui decisamente poco considerato e riflettuto, nonostante sia
ormai vecchio di due anni, Lo “zio verde”, la Utet e altre storie di
famiglia dei gemelli Alessandro e Massimo Firpo, il primo ex dirigente
d’azienda (in particolare, ma non solo, nel settore editoriale: è stato alle dipendenze della stessa Utet, nonché di Garzanti, Pedrini e Vallardi), il secondo ben noto storico dell'età moderna, figli del celebre storico
Luigi Firpo, autorevole penna de "La Stampa", membro del consiglio d'amministrazione della RAI dal 1980 al 1987, deputato del PRI dal 1987 al 1989 (anno in cui morì all'età di 74 anni), campione di bridge e molto altro ancora, è tutto tranne che un banale e tenero libro di memorie familiari,
come suggerirebbe il titolo. A dire il vero di tenero non vi è nulla in questa
ferocissima resa dei conti degli Autori con la propria storia familiare – e in
particolare, ma non solo, con il padre Luigi Firpo –, rispetto alla quale passano in secondo piano altri aspetti interessanti del libro, come le pagine dedicate a quell'autentico – e dimenticato – genio dell'editoria che fu Carlo Verde, assunto in Utet nel 1922 e figura apicale della stessa per oltre un cinquantennio a partire dal 1930 (anno in cui fu designato amministratore e condirettore generale per poi diventare direttore generale nel 1934, amministratore delegato nel 1935, assumendo anche la carica di presidente nel 1945; cfr. p. 49), prozio materno dei gemelli Firpo e da loro chiamato lo "zio Verde” per distinguerlo da un altro zio con lo stesso nome di battesimo.
Il libro,
rapidamente esauritosi e non più in commercio, non tanto perché andato a ruba
ma perché presumibilmente stampato in una tiratura “ridotta” da parte
dell’editore Nino Aragno, versatile imprenditore piemontese, le cui meritorie
attività editoriali non rappresentano certo il
core del suo
business, ma straordinariamente e irritualmente magnificato e ringraziato dagli Autori
nell’
explicit della Premessa come fosse un novello Carlo Verde (“il cui spirito di iniziativa e coraggio
imprenditoriale, passione per la cultura e fastidio per la boria dei dotti,
cordiale affabilità e gusto dell’ironia – scrivono i gemelli Firpo a p. XIV proprio a proposito di Nino Aragno – ci hanno sempre ricordato quelli di Carlo Verde,
inducendoci infine ad accettare di percorrere questo periglioso sentiero”),
appare ben più complesso rispetto all’immagine edulcorata fornita dalla banale
recensione giornalistica di Nicola Gallino apparsa su “La Repubblica - Torino” del 24/07/2023 (
Lo zio Verde, ideatore di Utet, che non ha neanche una voce su Wikipedia). Gallino, che accosta il libro un po’ a
Vestivamo alla marinara di Susanna
Agnelli, un po’ ai
Buddenbrook di Thomas Mann (!), definisce
la demolizione morale e intellettuale di
Luigi Firpo messa in atto da parte dai figli Alessandro e Massimo “un’uccisione
edipica ma senza astio”. Ma il libro, se letto e riflettuto approfonditamente, appare ben altra e più complessa cosa. Esso, innanzi tutto, è una sorta di
Zibaldone, dove le ampie digressioni sulla storia della Utet, grandissimo patrimonio culturale di questo
Paese, purtroppo disgraziatamente dispersosi come noto, dalla fondazione da
parte di Giovanni Pomba nel 1791 fino alla gestione di Carlo Verde, che si
identifica con il periodo di massimo splendore dell’Azienda, e oltre, attraversando
il successivo lento declino sotto la presidenza di Gianni Merlini per giungere al tracollo finale, con tanto di approfondite analisi
dei bilanci, delle strategie di mercato e delle reti di vendita, si alternano
ad aneddoti curiosi, talora ma non sempre divertenti, e resoconti dettagliati, non di rado truci e
sconfortanti, di storia familiare.