Pubblichiamo di seguito le considerazioni di un giurista a proposito del contenzioso in corso tra l'attuale Presidente del Consiglio e il noto filologo classico Luciano Canfora.
Per il prossimo 16 aprile è fissata, dinanzi al
tribunale di Bari, l’udienza dibattimentale a seguito della querela per
diffamazione a suo tempo presentata dalla odierna presidente del consiglio nei
confronti del prof. Luciano Canfora.
I fatti risalgono all’11 aprile 2022: il docente,
invitato per parlare della guerra in Ucraina agli studenti del liceo
scientifico Enrico Fermi di Bari, aveva detto: «Non vedo, nello
schieramento politico del nostro Paese, forze capaci di dire Voglio capire.
Anche la terribilissima e sempre insultata leader di Fratelli d’Italia,
trattata di solito come una mentecatta, pericolosissima, siccome – essendo
neonazista nell’animo – si è subito schierata con i neonazisti ucraini, è
diventata una statista molto importante ed è tutta contenta di questo ruolo.
Non fa parte della maggioranza di governo attuale ma è una pedina esterna molto
comoda per dimostrare che il Paese è unito».
E la Meloni dai social aveva replicato: «Ascoltate
il filologo Luciano Canfora che, in un istituto scolastico di Bari, mi
definisce “neonazista nell’animo”. Parole inaccettabili, ancora una volta
pronunciate da una persona che si dovrebbe occupare di cultura e formazione e
che invece finisce a fare becera propaganda a dei giovani studenti. La querela
non gliela toglie nessuno».
Invano Canfora ha cercato di chiarire che non c’è
materia penale nella sua frase, spiegando che “una valutazione politica, in
termini di metafora politologica, non può costituire reato, qualunque giurista
lo sa”. E in successive precisazioni ha chiarito il suo pensiero, a partire
dalla puntualizzazione che “dare del neonazista a un soggetto non
equivale a dargli del nazista”. Ha quindi esemplificato con pertinenti
richiami. «
Neonazista – ha detto – è, ad esempio,
l’atteggiamento di chi usa le navi da guerra per respingere i migranti. Si
tratta di comportamenti piuttosto recenti di una dirigente politica che ha le
sue idee, secondo me troppo forti, sul terreno fondamentale della migrazione in
atto nel Mediterraneo e su cui, a suo tempo, abbiamo sentito parole tremende.
Neonazista è uno che non accetta e non rispetta l’unità del genere umano e che
riguardo al fenomeno migranti si esprime in maniera bellica. Coloro che
scappano dalla Libia sono esseri umani da rispettare altrettanto degli ucraini
e non da respingere con le cannoniere. Questa è la mia obiezione e la ragione
per la quale io approdo al concetto di neonazista, perché rassomiglia a
quell’atteggiamento mentale secondo cui alcuni esseri umani sono di serie B.»
Sul
piano dei fatti, rientra tra quelli “notori” la circostanza che la Meloni non
ha mai dichiarato di essere antifascista, rifugiandosi sempre in
generiche prese di posizione contro tutte le dittature – il che potrebbe
costituire una modalità elusiva della dichiarazione specifica da più parti
richiestale in sedi politiche – né si è mai opposta all’ingresso in Italia, nel
giro di pochi mesi, di decine di migliaia di cittadini extracomunitari
provenienti dall’Ucraina, nel silenzio del suo governo, impegnatosi
strenuamente in una battaglia senza risparmio di atti normativi e di impiego di
forze dell’ordine contro l’ingresso, nel territorio dello Stato, di migranti
provenienti dall’Africa (sulla totale assimilabilità tra fascismo, fascista
e nazismo, nazista si veda Cass., sez. V, 8.1.2010 n. 19449).
Sul
piano lessicale, è difficilmente contestabile che le condotte tenute dalla
presidente del consiglio, comunque le si voglia qualificare e giudicare, non
potrebbero definirsi ispirate né ad eguaglianza di trattamento, né a rispetto
della normativa convenzionale obbligatoria per l’Italia (il provvedimento della
giudice Apostolico e di molti altri sul cd. decreto Cutro e le recenti
ordinanze fotocopia n. 3562 e 3563 della massima istanza giurisdizionale, le
Sezioni unite civili della Corte di cassazione 30.1-8.2.2024, che hanno rimesso
la questione alla Corte di giustizia UE, ne sono la riprova).
Dinanzi
a questa situazione di fatto, l’attribuzione dell’appartenenza morale (nell’animo)
a idee non solo difformi dai valori costituzionali, ma tendenzialmente ispirate
anche a una concezione del diritto della forza e non della forza del
diritto, comprovabile da decine di atti e fatti ascrivibili al governo
della Meloni negli ultimi due anni e mezzo, difficilmente può essere
considerata come reato.
In
ogni caso, la Meloni che non si è neanche astenuta dal definire “becera
propaganda” l’espressione di un’opinione, e cioè la libera manifestazione del
pensiero, costituzionalmente tutelata, ha
rivelato una significativamente negativa insofferenza verso l’esercizio
dei diritti, e ora rischia di finire nel gorgo di un contraddittorio senza
esclusione di colpi che potrebbe vederla soccombente.