Eugenio Di Rienzo, esegeta di Benedetto Croce e Gioacchino Volpe

di Armando Pepe

Per deontologia professionale quando si scrive una recensione si dovrebbe prescindere dal fare complimenti, ma è impossibile non farli leggendo il nuovo libro di Eugenio Di Rienzo, dal titolo “La storia ci unisce e la realtà politica ci divide, un poco”. Lettere di Gioacchino Volpe a Benedetto Croce (1900-1927), edito dalla Società Editrice Dante Alighieri. È una precisa ed informata curatela di un carteggio tra intellettuali di prima grandezza, preceduta da un ampio e davvero molto pregnante saggio introduttivo. Nonostante la lunghezza di 188 pagine, il testo si legge con facilità, anzi con trasporto per vedere come vanno a finire le cose tra i due protagonisti, divisi definitivamente da una questione privata, cioè di visione e adesione politica: la stima originaria di Croce per Volpe si trasformò dapprima in mancanza di considerazione e poi deflagrò in sottile ironia. Eugenio Di Rienzo si muove nella storia della storiografia con perizia non comune, facendo rivivere le passioni comuni, le piste di ricerca intuite e portate a termine con pervicacia, le numerose letture, basi per future recensioni. «Le più di ottante lettere di Gioacchino Volpe inviate, dal 1900 al 1927, a Benedetto Croce, testimoniano la lunga consuetudine scientifica e i rapporti di stima e amicizia, che legarono, per quasi un trentennio, due tra i più grandi intellettuali del secolo trascorso. Un’amicizia che non resse alla prova della politica, quando, dopo il 1925, il destino di Croce e di Volpe si divaricò bruscamente, per raggiungere gli opposti lidi del fascismo e dell’antifascismo» (p. 7). Il titolo, evidentemente, per le ragioni suesposte di per sé stesso è dunque leggermente ironico. Il Curatore ripercorre in modo circostanziato i passaggi cruciali, dall’avvicinamento alla rottura, che per un maggior comprensione è utile sceverare. All’inizio, «dal complesso e serrato methodenstreit, innescato dalla revisione crociana sul marxismo, Volpe era sembrato, dal principio, tenersi discosto, più interessato forse a seguire il coevo dibattito sulla Kulturgeschichte, che Croce e altri studiosi avevano introdotto in Italia, quasi volendo, già da ora, accreditare la sua fisionomia di “storico senza filosofia”, che si sarebbe manifestata a più riprese nella corrispondenza con Gentile. Apparentemente, poi, più che alla controversia sul materialismo storico e ai rapporti tra storia e sociologia, il Volpe degli anni di formazione presso la Normale di Pisa pareva interessato alla più modesta riformulazione di quelle problematiche, che si ritrovavano nella storia sociale ed economica di Giuseppe Toniolo, da lui conosciuto personalmente quando lo storico cattolico teneva alcuni corsi liberi nella città toscana e il cui volume Dei remoti fattori appare fittamente annotato dal giovane studente, nella copia ancora conservata nella biblioteca della Scuola» (pp. 10-11). Volpe, in realtà, come mette in evidenza Di Rienzo, era ben consapevole del dibattito culturale a lui contemporaneo, grazie ad una ininterrotta e diuturna attività intellettuale, che gli fu consustanziale fino al termine della vita. Le affinità tra i due studiosi sono patenti, alla luce del sole, e spesso sfociano in aperta concordanza di opinioni e osservazioni. Questa simpatia assunse le sembianze di “padrinaggio intellettuale”, avendo Croce a cuore le sorti di Volpe, il quale fu «conosciuto dal giovane storico nel 1900 grazie a Giustino Fortunato, nel breve periodo di lavoro nella redazione del “Mattino” di Edoardo Scarfoglio, figlio di una sorella del padre, Giacomo Volpe. Quel legame con l’inquilino di Palazzo Filomarino si faceva sempre più stretto grazie alla comune amicizia con Giovanni Gentile e diveniva in breve un dialogo inter pares sulla storia e sulle ragioni intellettuali e politiche» (p. 15). Entrambi avevano in uggia l’approccio semplicistico ai reali e molto seri problemi che la storia poneva (e pone) sempre, che non potevano essere sbrigati con sociologismi d’accatto. La lettura dei libri che Croce inviava a Volpe era sempre condotta da quest’ultimo in modo sistematico, volta al necessario approfondimento su punti cogenti, che al momento ne catturavano imprescindibilmente l’attenzione. Letture che divenivano spesso, non sempre, ma frequentemente, altrettante recensioni, nel senso pieno del termine, che in latino sottendeva diversi aspetti, quali “stimare, essere d’avviso, giudicare”, ma anche “enumerare, passare in rivista, rivedere” (da Alfred Ernout et Antoine Meillet, Dictionnaire étimologique de la langue latine, histoire des mots, Klincksieck, Paris 2001 (1932), pp. 112-113), perché Volpe, quando prendeva un impegno lo assolveva nel migliore dei modi e prima di recensire leggeva diversi libri sull’argomento, in pratica lo faceva suo, sapendo essere, laddove occorreva, anche corrosivo, come nei confronti della «silloge di [Achille] Loria dedicata alla dottrina di Marx» (p. 17). Altro punto nodale opportunamente messo in risalto da Di Rienzo è quello relativo alla positiva valutazione, al debito conto in cui i due studiosi tenevano l’opera del romagnolo Alfredo Oriani, poiché «se Gentile avrebbe più tardi puntato sulla valorizzazione dell’Oriani politico, in quanto profeta della “Nuova Italia”, entrata nella Grande Guerra, che poi il fascismo avrebbe ampiamente ripreso e contraffatto, Croce, nel saggio del 1908 [Note sulla Letteratura Italiana nella seconda metà del secolo XIX, alla voce Alfredo Oriani] che fu attentamente meditato e assimilato da Volpe, rivendicava l’importanza dell’Oriani storico, contro i distruttivi e liquidatori giudizi di Pasquale Villari e di [Amedeo] Crivellucci, che bene rappresentavano “l’inerzia mentale dei nostri studiosi di storia”. Oriani, infatti, possedeva per Croce quella “non comune attitudine a guardare i fatti dall’alto, come soleva dire il De Sanctis”, che rappresentava infine “la qualità essenziale dello storico”. Da quella prospettiva aerea potevano sicuramente scomparire molte differenze e generarsi alcuni errori di dettaglio, provocando l’ostilità del “piccolo erudito”, che è in parte “cautela e amore dei particolari precisi, ma che è sempre soprattutto “semplice incapacità a sostenere la vista di un oceano in burrasca o lasciare scorrere lo sguardo su un’ampia distesa, senza confondersi e smarrirsi. Se nell’età del positivismo, gli studi storici italiani erano decaduti, ciò era dovuto proprio a questa “perdita della speranza dell’altezza”, alla scomparsa del “coraggio” e della “forza di salire”. E se ora essi erano destinati a risorgere, lo potevano solo a condizione di ritrovare quelle qualità che in Oriani erano largamente operanti, nella misura in cui la sua storia d’Italia era stata suscitata dal “problema del presente”: dalla convinzione che “per sapere quello che essa è e può, bisogna sapere quello che essa è stata” » (pp. 34 e 35). Di Rienzo, come le righe sopra riportate esaurientemente dimostrano, va al punto, toccando le intime corde della storiografia di quel frangente e dirimendo domande epocali che sempre si pongono e ripropongono allo studioso. Per la memoria dei due infaticabili divoratori di libri è qui significativo ricordare la lettera, datata Milano, 26 marzo 1916, in cui Volpe, rivolgendosi a Croce, scrisse: «Egregio amico, ho atteso la fine di marzo per occuparmi della vostra cosa alla Braidense, perché mi diceste e scriveste che per allora solo avevate bisogno della copia della Storia di Marzia Basile del Giovanni della Carriòla. Ma le ricerche alla Braidense nella miscellanea Bertarelli sono state oggi sfortunate. Manca il catalogo e vi sono solo trenta o quaranta pacchetti di opuscoli, divisi secondo gli argomenti. Li ho aperti quasi tutti e di quasi tutti ho visto i titoli degli opuscoli e non ho trovato il vostro. Sebbene non sappia più dove cercare, tuttavia proverò ancora. Ma se avete qualche indicazione che possa aiutarmi nell’indagine, cresceranno le probabilità che io riesca» (p. 132). Vani furono i tentativi dell’indefesso Volpe, epperò Croce trovò lo stesso il prezioso volume presso un libraio antiquario a Roma. La benevolenza crociana è manifesta anche in merito al concorso che Volpe sostenne per insegnare presso l’accademia milanese, dove superò finanche Gaetano Salvemini, vicenda che Di Rienzo costruisce benissimo. In conclusione, tutte le lettere riportate in appendice, comprese quelle di Nicola Ottokar a Gioacchino Volpe, sono corredate da un cospicuo apparato di note, che accompagnano il lettore per mano, senza che esso possa perdere mai il filo del discorso.    

«La storia ci unisce e la realtà politica ci divide, un poco». Lettere di Gioacchino Volpe a Benedetto Croce 1900-1927, a cura e con un saggio introduttivo di Eugenio Di Rienzo, Società Editrice Dante Alighieri, Roma 2021, 188 pagine, 9 €.

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