Anche se da un punto di vista puramente legittimistico la caduta del Regno
delle Due Sicilie poteva indurre a conati rivendicativi suffragati da
comprensibili ragioni, come si ricava dal memoriale di un religioso alcantarino
del convento di Santa Maria Occorrevole in Piedimonte durante il tumultuoso
1860, una questione storiografica ancora aperta è la guerra per (e del)
Mezzogiorno d’Italia, all’indomani dell’unificazione. Per più di un decennio lo
Stato italiano fu impegnato in una strenua lotta contro il brigantaggio. Chi erano
i briganti? Questo è il punto. Patrioti o semplici delinquenti che mascheravano
il crimine ammantandolo di nobili ideali? Affrontando un discorso molto più
ampio e partendo dai teorici del neo-borbonismo (tra i quali Pietro Calà Ulloa
e Giacinto de Sivo), Carmine Pinto dà delle esaustive risposte, concentrate in
nuclei tematici tanto concettualizzanti quanto entusiasmanti a leggersi, nel
libro recentemente edito da Laterza «La guerra per il Mezzogiorno. Italiani,
borbonici e briganti (1860-1870)» basato su di una straordinaria mole
documentaria, raccolta in un pluriennale lavoro negli archivi di tutta Italia.
Il brigantaggio ha interessato da presso e in modo cogente il nostro
territorio, volendo solo accennare agli episodi di violenza estrema rimasti nella
memoria collettiva, come l’omicidio a San Potito Sannitico di Enrico Sanillo
(22 luglio 1865) e altri fatti meno noti, portati alla luce dal continuo lavoro
di scavo archivistico del compianto Giuliano Palumbo. Carmine Pinto, in
un’opera di decostruzione e ricomposizione, offrendo un nuovo canone
interpretativo – che certamente si imporrà come modello paradigmatico – analizza
la questione meridionale sceverandone ogni aspetto. Oltre alla Legione del
Matese, ai fratelli Achille e Gaetano del Giudice (che occuparono posizioni
preminenti nell’Italia risorgimentale), un ruolo significativo fu interpretato
da monsignor Gennaro Di Giacomo, vescovo di Alife.
Monsignor Di Giacomo, presule di opinioni liberali (caso più unico che raro
nel Sud) a causa delle proprie idee ebbe vita non facile e alla fine pagò
pegno, essendo costretto a lasciare Piedimonte per ritirarsi a vita privata in
Caserta. Tuttavia quando era ordinario diocesano fu prodigo di particolari
nello stilare le relazioni ad limina Apostolorum, periodicamente
trasmesse in Vaticano per una complessiva lettura del territorio. Cerchiamo ora
di trovare, in chiave correlativa, le risposte di monsignor Di
Giacomo a due quesiti – tra i tanti – che pone il libro di Carmine Pinto, il
primo sui sacerdoti anti-temporalisti (seguaci di Carlo Passaglia, ex religioso
lucchese, nel 1861 fuggito da Roma a Torino travestito da buttero) condannati
dalla gerarchia vaticana, il secondo sulla diffusa e pervasiva violenza
connaturata nel brigantaggio. « La reazione alla petizione dei preti per la
conciliazione, in buona parte meridionali, promossa da Passaglia e
sponsorizzata dal governo italiano, fu di intransigenza assoluta. Il papa [Pio
IX] chiese una ritrattazione, pena la sospensione a divinis.
La Civiltà Cattolica li definì vituperoso gregge di
apostati…» (Pinto, p. 287). Anche in diocesi di Alife ci furono dei sacerdoti
che aderirono alle tesi di Carlo Passaglia . Il 17 dicembre 1867 monsignor Di
Giacomo inviò in Vaticano un documento, dal titolo «Sacerdoti che han
dichiarato di ritirare la firma dall’Indirizzo Passaliano» (Archivum
Secretum Vaticanum, Congr. Concilio, Relat. Dioec. 32B, f.
712r.). Chi erano questi sacerdoti? La prima firma era di «Benedetto
Fortini (arciprete curato di Letino)». Venivano da Letino anche i preti
«Raffaele Fortini, Luigi d’Orsi, Davide Caruso, Pierantonio Mancini, Pasquale
Tommasone». Di Valle di Prata (ora Valle Agricola) erano l’arciprete «Vincenzo
Tartaglia» e i sacerdoti «Raffaele Donia, Francesco Rega, Michele
Rega». Di Piedimonte i sacerdoti « Filippo Canzanella, Nicola Vetere, Nicola
Rialti, il canonico di Santa Maria Maggiore «Giuseppe Zeppetelli» e quello di
Ave Gratia Plena (la chiesa dell’Annunziata) «Francesco Andreotti». Di
Sant’Angelo d’Alife i sacerdoti «Giovanni Giuseppe Girardi, Antonio Ricciardi,
Alfonso Ferrazzano, Francesco Perrotti». Di Ailano il prete «Nicolantimo
Corbi». Di San Gregorio il sacerdote «Giuseppe de Lellis». Di Castello il prete
«Antonio Matteo». In calce all’elenco monsignor Di Giacomo confermò che i
citati sacerdoti avevano tutti ritrattato le proprie idee in merito
all’indirizzo passaliano. Se si tiene da conto il numero dei sacerdoti
interessati e il loro peso specifico, dato che compaiono qualche arciprete e i
canonici delle due collegiate piedimontesi, si può considerare giustamente che
il fenomeno, alimentato dalla diffusione dell’assunto di Carlo Passaglia,
almeno nella nostra diocesi fu di una certa rilevanza.
Per inciso, il sacerdote di Letino Don Raffaele Fortini, nel 1877 prese
parte al moto internazionalista del Matese, dato che «arringò il popolo… al
grido di Viva la Rivoluzione Sociale» (Tomasiello, p. 355).
Intorno al secondo punto, quello della violenza efferata di cui si
macchiarono i briganti, in un documento allegato alla relazione ad
limina del 9 settembre 1863 l’economo curato di Valle di
Prata (ora Valle Agricola), Don Francesco de Cecco, riferì che «La
sera del 22 agosto 1861, stando io nella mia abitazione, intesi che alcuni
briganti, al numero di venti circa, avevano incominciato a picchiare le porte
di varie abitazioni; fu picchiata del pari la porta della mia abitazione e fui
invitato a somministrare pane per la – così dicevano – truppa. Dai briganti mi fu
imposto di seguirli, accompagnandoli pel paese e non furono ammesse le scuse.
Mi si additò il convincente argomento di un fucile pronto ad essermi scaricato
contro. Dopo che mi fu accordato il pacifico congedo, fui assordato dal
compassionevole pianto di un fanciullo, pressoché convulso dai singhiozzi,
affatto ignudo; al quale fattomi incontro e domandando la causa della sua
costernazione, questi – nell’età di sette anni circa appena – mi rispose con
tutta precisione: Stanno uccidendo la nonna e le zie! Mi feci
guidare dal fanciullo e accorsi al luogo, cioè in una cortiglia. Il fanciullo,
figlio di Francesco Pezzullo e Giuseppina Greco, era talmente atterrito che mi
indicava appena la sua abitazione. Giunto nella casa trovai tutto all’oscuro
perché i briganti – da me veduti al numero di due – avevano ad arte smorzato i
lumi. Al primo entrare alzai la voce non una volta sola, chiedendo che cosa si
facesse, giacché udivo minacce dall’una parte e gemiti femminei dall’altra. Al
replicato mio tono di voce, uscì uno dei due briganti- che ivi erano- che mi
minacciò dicendo: Vai dietro, mo’ ti ammazzo! Al tatto mi
assicurai che mi dirigevano contro un’arma da fuoco. Iddio mi diede la forza di
dire sempre più alto, alzando la voce, ciò che indusse il primo brigante a
rientrare nella stanza ultima, dove l’altro brigante tratteneva, minacciava e
maltrattava la madre e le giovani figlie, Lucia e Maria- quest’ultima di circa
venti anni o poco più- sorelle di Francesco Pezzullo, padre del fanciullo. Il
pretesto dell’accesso fu la ricerca degli abiti e dei panni, ma si passò
immediatamente a tentare il peccato da uno dei briganti. Infatti, mentre uno
dei due tratteneva la madre, la mia voce, la presenza di spirito che Iddio mi
conservava, e forse il destro ben colpito d’incutere qualche timore, non solo
indussero i briganti a riaccendere il lume, ma li indussero ancora a ritirarsi
finalmente. Iddio custode dell’innocenza fu con la donzella, che malgrado
un’ora circa di lotta violentissima si conservò illibata. La madre e le figlie
furono pestate in guisa che per più giorni non hanno potuto procacciarsi il
pane, frutto unicamente di loro fatiche. Questa, innanzi a Dio, è la verità dei
fatti» (Archivum Secretum Vaticanum, Congr. Concilio, Relat.
Dioec. 32B, ff. 698r.-698v.).
Fonti e bibliografia
- Archivum Secretum Vaticanum, Congr. Concilio, Relat. Dioec. 32B, ff. 698r.-698v., f. 712r.
- Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale degli Affari di Culto, busta 58, fascicolo 14, «Vescovi Alife Piedimonte».
- Narrazione degli avvenimenti del 1860 nel Convento di Santa Maria Occorrevole
di Piedimonte d’Alife nello scoppio della Rivoluzione, a cura di Armando
Pepe, in «Quaderni eretici. Studi sul dissenso politico, religioso e
letterario», 6, 2018 [URL: http://www.ereticopedia.org/narrazione-santa-maria-occorrevole].
- Giuliano Palumbo, Cronologia del brigantaggio sul Matese, Piedimonte Matese, ASMV, 1977.
- Giovanni Petella, La legione del Matese: durante e dopo l'epopea garibaldina, Città di Castello, Casa tipografico-editrice S. Lapi, 1910.
- Carmine Pinto, La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti (1860-1870), Bari-Roma, Laterza, 2019.
- Bruno Tomasiello, La banda del Matese, 1876-1878: i documenti, le testimonianze, la stampa dell'epoca, Casalvelino Scalo (SA), Galzerano, 2009.
Nessun commento:
Posta un commento