Filosofia e magia nel Rinascimento in Terra d’Otranto

di Elisa Tundo


Il volume Filosofia e magia nel Rinascimento in Terra d’Otranto, a cura di Luana Rizzo, raccoglie sette contributi vertenti sul profilo di alcuni umanisti la cui esperienza speculativa è legata alla Terra d’Otranto in un periodo compreso fra il Rinascimento ed il tardo Rinascimento. In esso vengono tracciati i contorni della querelle intorno alle scienze magico-astrologiche fra XV e XVI secolo, mirando a dimostrare come il milieu otrantino non si possa considerare estraneo ai più fervidi dibattiti intessuti nei centri culturali strategici della Penisola, precipuamente Napoli, ma abbia contribuito ad animarli offrendo sollecitazioni significative. Il leitmotiv che ripercorre i contributi concerne la prossimità di questi pensatori alle tematiche «inerenti al sapere magico-astrologico in una molteplicità di accezioni: la conoscenza della natura, gravida di segni e di corrispondenze da interpretare da parte del mago-sapiente, dei processi determinati da affinità e simpatie, dei segreti naturali, il legame con la medicina e l’astrologia», «fino alle implicazioni mistico-ermetiche orientate a definire il rapporto fra sapientia e scientia» (p. xviii). Gli umanisti che figurano all’interno delle pagine del libro, Antonio De Ferrariis Galateo, Matteo Tafuri, Costanzo Sebastiani, Francesco Storella, Cesare Rao e Giulio Cesare Vanini, hanno segnato la storia del pensiero filosofico del Mezzogiorno d’Italia. Come afferma la curatrice nell’Introduzione al volume, la delineazione delle peculiarità della tradizione culturale di Terra d’Otranto è avvenuta tramite lo studio del patrimonio manoscritto e delle fonti, ritenendo che «il ritorno ai testi» sia lo strumento più adeguato per interpretare e comprendere una cultura (cfr. p. xii). La studiosa illustra gli elementi che caratterizzano l’eredità culturale di Terra d’Otranto, dal recupero delle fonti classiche consultate in greco, nella loro lingua originaria, fenomeno promosso dal profondo radicamento alla cultura greca che ha caratterizzato la Terra d’Otranto, all’attenzione nei confronti di tematiche del tutto originali, al «recupero di tradizioni della cultura pagana, eredità di miti lontani, come l’orfismo, l’ermetismo, il platonismo, rivisitati in chiave moderna sotto il segno di una rinascita delle scienze magico-astrologiche e della fonte di Tolomeo» (p. xiv). Gli autori, di cui gli studiosi ripercorrono le vicende, pongono in essere una concezione del sapere che trae linfa vitale dalla lettura dei testi orfici, ermetici e magici, indagando mediante l’ausilio dell’astrologia, della medicina e delle pratiche magiche, affrancate dal ricorso alla superstitio, i segreti della natura e le leggi che la regolano. La loro filosofia matura all’interno del «complesso intreccio fra dottrine sapienziali, esperienze religiose iniziatiche e pratiche magico-teurgiche», avvalendosi del ricorso alla magia dotta, talvolta alla teurgia, oppure all’astrologia come scienza (p. xx).

Giorgia Zollino e Vittorio Zacchino rivolgono i loro contributi ad Antonio De Ferrariis Galateo, curandone due aspetti diversi ma speculari. Zollino analizza un’operetta del De Ferrariis, il De podagra, soffermando la sua disamina su un aspetto originale della trattazione. L’autrice scandaglia il ruolo giocato nella disquisizione dalla micologia, disciplina che opera da trait d’union fra medicina e magia. Dalle notizie biografiche ricavate dall’opera si evince che il Galateo abbia sofferto di gotta e tramite questo aneddoto intreccia un legame tra biografia e professione medica. Una sezione dell’opera si concentra sull’analisi delle proprietà di determinati alimenti in relazione alla malattia, tra i quali assumono una certa rilevanza i funghi. La scelta del Galateo di approfondire un argomento così particolare viene fatta risalire dall’autrice alla «loro crescita spontanea, quasi 'divina' e 'miracolosa'» (p. 8). Egli opera un raffronto fra l’importanza da attribuire alla vita contro la bramosia che spinge gli uomini a cibarsi di frutti potenzialmente nocivi per la salute. All’interno del paragone, Zollino scorge un riferimento ad una smodata corruzione dei costumi provocata dalla Francia di Carlo viii che aveva conquistato il Regno di Napoli condizionandone la vita in maniera pervasiva (cfr. p. 14).
Zacchino, d’altro canto, si concentra sul soggiorno partenopeo di De Ferrariis e sul sodalizio con la cerchia di eruditi che gravita intorno all’Accademia pontaniana. Fa emergere le tappe salienti della biografia dell’umanista attraverso la descrizione dell’ambiente accademico e della corte napoletana. Napoli ha rappresentato il cuore della formazione del medico e dell’uomo, e lo studioso tratteggia i rapporti con alcune tra le più illustri figure del tempo, quali per citarne alcuni, Ermolao Barbaro, Re Ferrante, i principi Alfonso e Federico, e Giovanni Pontano. Mediante il riferimento a Pontano e al rapporto amicale intercorso tra i due delinea un lato del carattere di De Ferrariis particolarmente schivo e riluttante a cedere ai piaceri ai quali era solita dedicarsi la nobiltà partenopea, raffigurandolo come un uomo dalla volontà indefettibile, sempre intento nei suoi studi (cfr. p. 25).
Luana Rizzo dedica il suo saggio a Matteo Tafuri, figura alquanto complessa. Tafuri è un umanista di chiara fama europea, versato in molteplici discipline. Gli intellettuali coevi gli hanno tributato plausi ed attestazioni di stima. La studiosa analizza alcuni fogli del manoscritto Vaticano greco 2264, latore dell’unica opera superstite del filosofo oltre ad un Pronostico, il Commento agli Inni orfici, il solo commento agli Inni esistente al mondo, copiato a Napoli nel 1537 da Francesco Cavoti, di cui la studiosa ha curato e recentemente pubblicato la prima parte (M. Tafuri, Commento agli Inni Orfici, Milano, Bompiani/Giunti 2021). L’inno preso in esame in questo contributo non figura, perché successivo rispetto all’ordine di presentazione degli Inni, tra quelli già pubblicati, risultando ancora inedito, motivo per cui il saggio acquisisce ulteriore pregio. Esso concorre dunque alla riscoperta e divulgazione di quel prestigioso patrimonio culturale cui rimanda il Commento agli Inni orfici del magister Tafuri. Rizzo espone in questo saggio una ricerca sull’ermetismo nel Rinascimento, restituendo l’originale lettura esegetica che Tafuri propone degli Inni orfici. Si sofferma su un inno contenuto nel Commento, l’Inno a Ermes, il ventottesimo, che occupa i fogli 76 r. – 79 r. della silloge e, specificamente, sul commento al f. 76 v. Tafuri opera una commistione fra i concetti di Ermes come νοῦς, angelo protettore e messaggero, indicando parimenti un’identificazione con l’angelo Michele. Egli compie una mescolanza sapienziale fra ermetismo, orfismo, neoplatonismo e religione cristiana perseguendo il progetto di una concordia filosofica e religiosa «fra la prisca theologia e la docta religio suggellata dall’influenza dei neoplatonici» (p. 36). Tafuri nel Commento si riferisce sia alla divinità, Ermes, sia ad Ermete Trismegisto. Nell’Inno, il filosofo narra l’antica sapienza di cui è custode Ermete Trismegisto. Attraverso il testo si può ricostruire il legame tra la figura di Orfeo e quella di Ermete, annoverati tra i prisci theologi. Tafuri si concentra anche sul concetto di conoscenza e sapienza del dio, facendo riferimento a due vie mediante le quali poter conoscere e ricongiungersi col divino, una razionale che si attua mediante il λόγος προφορικός, ed un’altra che rappresenta una forma più alta di conoscenza raggiunta tramite il λόγος νδιάθετος (cfr. p. 43). La studiosa rintraccia tutte le fonti, tra le quali riveste una particolare preminenza quella di Filone di Alessandria, sia quelle citate espressamente, sia quelle implicite, illustrando il contesto nel quale si inseriscono. Rizzo spiega altresì come «i temi teologici e magici degli scritti ermetici si fondono, per complicarsi, con gli apporti dell’orfismo, una religione antichissima velata da simboli, di cui gli Inni sono espressione» (p. 47). Il testo è veicolo di un sincretismo filosofico-religioso permeato di sapienza orientale, giudaismo e cristianesimo che si inserisce nel filone di tradizioni iniziatiche che circolavano segretamente nel Rinascimento (cfr. p. 41).
Daniele Arnesano ricostruisce i primi risultati di una ricerca in corso, foriera di sviluppi e approfondimenti su un personaggio poco noto alla storiografia per via delle esigue notizie possedute sul suo profilo biografico ed intellettuale, Costanzo Sebastiani. Per presentare la storia di questo personaggio si è servito dei necrologi, delle Familiarum Tabulae inedite degli olivetani e di alcuni codici tramandati vergati dalla mano dell’umanista. Costanzo Sebastiani è una figura poliedrica intorno alla quale l’autore intende gettar luce. Arnesano considera il manoscritto Vat. Barb. gr. 42, contenente il commento di Proclo al Cratylus di Platone copiato dall’umanista a Lecce, uno dei lasciti più significativi del Sebastiani. Egli ha intrattenuto una corrispondenza epistolare con personaggi di spicco della cultura dell’epoca. La tesi sulla cultura enciclopedica dell’umanista è avvalorata dal fatto che non si è occupato soltanto di filosofia. Dal Necrologium Olivetanum si apprende che in qualità di teologo di acclarata fama, viene mandato a svolgere il ruolo di interprete durante il Concilio di Trento. Da insigne grecista, si adopera in svariate traduzioni dal greco al latino. Dalle informazioni sui manoscritti venuti in possesso del Sebastiani, Arnesano ritiene di poterlo considerare un veicolo di «cultura tra le diverse aree del Meridione d’Italia, attraverso contatti diretti, scambi epistolari, viaggi, missioni, sempre in compagnia di libri da copiare, donare, barattare» (p. 70).
Donato Verardi indirizza il suo intervento su Francesco Storella e sulle arti magiche, astrologia, magia naturale, chiromanzia e alchimia, nell’edizione commentata del Secretum secretorum pseudo-aristotelico pubblicata a Napoli e a Venezia nel 1555. Verardi pone in risalto l’interpretazione e la legittimazione che Storella offre delle arti magiche. L’autore ricorre a numerosi riferimenti alle altre opere di Storella producendo un excursus che lascia intravedere la maturazione intellettuale e speculativa del filosofo, suffragando le tesi proposte nel commento al Secretum secretorum. Verardi scandaglia la concezione di Storella sulla magia naturale quale pratica che rigetta ogni riferimento alle realtà demoniache, concependola come parte pratica della filosofia naturale; il rimando alla logica come fondamento della disciplina astrologica, e le fonti di cui si serve Storella. Sono presenti anche comparazioni con la filosofia di Della Porta su argomentazioni comuni fra i due filosofi. Una nota singolare a cui accenna il saggio riguarda la consultazione da parte di Storella di un codice ermetico napoletano sull’alchimia mercé lo zelo di un allievo, Aniello Torboli. Come lo stesso Verardi sottolinea, è sorprendente come egli non trovi insolito, in virtù della sua formazione peripatetica, citare codesto codice, e lo fa perché ritiene che lo stesso Aristotele si sia richiamato alle dottrine di Ermete e alla medesima disciplina alchemica (cfr. pp. 98-99). Lo studioso scrive che «il Secretum secretorum edito da Storella contribuisce a mostrare la varietà dei volti assunti dallo Stagirita nel Rinascimento: da quello più noto del logico», «fino a quelli meno consueti dell’astrologo, del chiromante, del mago e dell’alchimista» (p. 99). L’astrologia diviene disciplina cerniera di una concezione cosmologica ed antropologica che permea una particolare tradizione medico-astrologica che giunge fino a Storella, aprendo un dibattito, nel Rinascimento, sulla possibilità dell’attribuzione ad Aristotele di discipline occulte (cfr. p. 92). Il contributo traccia l’itinerario filosofico di Storella mettendo in evidenza l’apporto profuso in seno al processo di razionalizzazione delle discipline menzionate (cfr. p. 99).
È scritto a due mani il contributo su Cesare Rao, il quale reca le firme dello stesso Verardi e di Manuel De Carli. I due autori hanno esaminato la dissertazione sulle arti liberali proposta da Rao nel suo Discorso In Lode de la Medicina, e de’ Medici. Degno di nota è il proponimento di Rao di costruire, attraverso un lessico filosofico italiano, un processo di divulgazione del sapere che induca un pubblico più ampio, rispetto a quello dei lettori del latino, a ricusare il riferimento a spiegazioni afferenti all’ambito della superstizione nella causalità dei fenomeni (cfr. p. 105). Un’altra particolarità, qui fatta oggetto di indagine specifica, riguarda la modalità di composizione di Rao, il quale si serve di un passo delle Diece Veglie di Bartolomeo Arnigio piegandolo alle sue esigenze speculative. La finalità della rielaborazione è rintracciabile nella celebrazione delle arti liberali dal punto di vista del filosofo. Come sostengono gli autori, proprio in virtù di questo adattamento interpretativo non si può parlare di plagio, ma di un testo che offre uno spaccato degli innumerevoli interessi dell’umanista. Il saggio pone l’accento sulla novitas di un pensiero multiforme che un’analisi superficiale avrebbe relegato nei confini dell’imitazione pedissequa. I due autori in calce all’intervento pubblicano il Discorso In Lode de la Medicina, e de’ Medici, offrendo la possibilità di leggerlo in maniera diretta.
 In chiusura del volume si trova il lavoro di Adele Spedicati su Giulio Cesare Vanini. L’autrice focalizza il suo contributo su uno degli argomenti più dibattuti tra gli studiosi ed intorno al quale si sono susseguite diverse interpretazioni pur continuando a rappresentare una fonte inesauribile di riflessioni eterogenee. La studiosa riserva una congrua parte del suo lavoro alla classificazione naturale del meraviglioso, degli arcana naturae, nel pensiero di Vanini. Il ragguaglio e l’analisi delle due opere a stampa dell’autore, il De admirandis e l’Amphitheatrum, permettono a Spedicati di dimostrare il carattere critico della speculazione di Vanini e il sostrato su cui si fonda il suo concetto di natura. Egli riconduce ogni fenomeno straordinario nella sfera della causalità intrinseca alla natura, propugnando un’investigazione razionale, appannaggio di una concezione basata su un sistema di cause efficienti, scevra da ogni presupposto trascendente, divino e magico. Nonostante Vanini rimanga «estraneo ai progressi compiuti dalla nuova e rigorosa metodologia scientifica coeva» (p. 132), tuttavia il contributo apre uno scorcio su un pensiero che adombra una concezione improntata sulle sollecitazioni offerte da un’indagine razionalistica del reale.
Il volume affronta temi e autori poco indagati, mettendo in luce le fonti, i contesti e i frammenti delle opere in possesso degli studiosi, sulla scorta di una conoscenza di prima mano dei testi. Sono personaggi il cui pensiero è venato da un ampio respiro finanche di portata europea. Per quanto difficile sia la ricostruzione di un autore di cui si possiedono poche testimonianze della produzione letteraria è importante condurre un attento lavoro di recupero teso a riportare alla luce filosofie che rimarrebbero immeritatamente nella penombra culturale avvolte da una polverosa coltre di mistero. Il libro dà rilievo ad alcuni aspetti poco esplorati dalla storiografia, guardando a figure singolari e profonde del Rinascimento.

Filosofia e magia nel Rinascimento in Terra d’Otranto, a cura di Luana Rizzo, Agorà & Co., Lugano 2019, pp. xxi-144, 25 €.

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