di Davide Trentacoste
L’atelier dell’Istituto Sangalli dedicato ai giovani studiosi, arrivato ormai alla sua quarta edizione, è un interessante – oltre che prezioso – momento di incontro e confronto internazionale. L’edizione di quest’anno è stata dedicata al tema delle discriminazioni etniche e religiose fra il 1400 ed il 1850. Nel corso delle tre giornate di studi si sono alternati importanti studiosi italiani e numerosi giovani provenienti da diverse parti del mondo. Ciò ha permesso di avere un quadro molto ampio sia dal punto di vista cronologico che geografico delle discriminazioni e delle loro varie declinazioni nel corso dei secoli; il tutto negli splendidi ambienti posti in Piazza San Firenze. Le giornate sono state inaugurate da Maurizio Sangalli, presidente dell’Istituto, che ha reso gli ospiti partecipi dell’apprezzamento mostrato dal Presidente della Repubblica per l’iniziativa volta a favorire la convivenza e la tolleranza. Il prof. Sangalli ha poi rivolto un doveroso pensiero alla memoria del giovane dottorando Giulio Regeni, purtroppo ancora in attesa di giustizia. Subito dopo è stato il momento di Rav Amedeo Spagnoletto (Rabbino capo di Firenze) e Yassine Lafram (presidente dell’UCOII) per la prima volta insieme dopo le rispettive recenti elezioni, la cui presenza ha donato valore aggiunto e visibilità mediatica all’evento. I due importanti ospiti hanno ricordato ai giovani studiosi i pericoli rappresentati dalla perdita della memoria storica e la negazione di eventi tragici come l’Olocausto ed hanno inoltre auspicato il riproporsi di simili iniziative per favorire la convivenza e la tolleranza. I lavori sono cominciati ufficialmente con l’intervento del prof. Massimo Giannini, direttore dell’Istituto, che ha sottolineato come nell’affrontare la questione del razzismo e del pregiudizio etnico e religioso non si debba mai prescindere dal contesto – storico, sociale e geografico – nel quale si svilupparono. La prima giornata è proseguita quindi con la relazione del prof. Francisco Bethencourt (King’s College, Londra), riguardante la situazione dei nuovi cristiani convertitisi dall’ebraismo nella Spagna della prima epoca moderna e delle loro strategie per sottrarsi all’inquisizione. Ha proseguito poi il dr. Mohamed Oussama Benatallah (Emir Aldelkader University of Islamic Sciences, Costantina) con un intervento che ha sottolineato la differenza di status degli ebrei in Spagna fra dominazione musulmana alto medievale e quella cristiana post Reconquista, richiamandosi anche al mito di Al-Andalus. Ha concluso il primo giorno il paper della dott.ssa Maria Vittoria Comacchi (Ca’ Foscari, Venezia) riguardante la situazione dei letterati ebrei spagnoli che per varie ragioni si trovarono a dover fuggire in Italia ed al loro ruolo nella società. La seconda giornata è iniziata con la relazione della prof.ssa Irene Fosi (Università Gabriele D’Annunzio, Chieti-Pescara) sull’atteggiamento della Chiesa cattolica nei confronti dei matrimoni misti, in particolare nell’area balcanica in età moderna. Subito dopo il dott. Davide Esposito (Università Federico II, Napoli) ha parlato dei processi inquisitoriali a cui venivano sottoposti gli ebrei nel Cinquecento. Ha proseguito poi la dott.ssa Silvia Toppetta (Università La Sapienza, Roma) con un intervento sulla situazione degli ebrei residenti nel Ducato di Modena mettendo in risalto la differenza di trattamento che ricevevano coloro che vivevano nella capitale del ducato e chi nei centri minori. Ha chiuso quindi la prima sessione della giornata il dott. Javier González Torres (Universidad de Málaga) con un intervento sulla promozione del culto eucaristico come arma contro la resistenza religiosa dei Moriscos nei territori del vecchio Regno di Granada. I lavori sono poi ripresi con la prof.ssa Rosita D’Amora (Università del Salento), il cui intervento ha mostrato come la discriminazione e la differenziazione etnica o religiosa passassero anche per il modo di vestire, lo stile ed il colore dell’abbigliamento. Successivamente il dott. Santiago Francisco Peña (Universidad de Buenos Aires) ci ha portati nella Francia della seconda metà del XV secolo, dove si rifugiarono molti dotti bizantini in fuga dopo la caduta di Costantinopoli in mano agli Ottomani e nello spazio riservato loro nella cultura rinascimentale francese. In seguito la dott.ssa Lucia Martines (Università degli Studi di Genova) ha trattato la questione dell’Islam e della critica positivista che gli veniva rivolta nel corso dell’Ottocento. La giornata è stata conclusa dall’intervento del dott. Matteo Lazzari (Alma Mater Studiorum, Bologna) e dal suo tentativo di ricostruire la situazione dei neri nella narrazione storiografica del Messico fra XVI e XVII secolo. L’ ultimo giorno è cominciato con la relazione del dott. Peter Benka (Comenius University of Bratislava) a proposito delle varie identità religiose dell’Ungheria settentrionale fra XVII e XVIII secolo, dei loro simboli e la preservazione delle loro comunità. Ha proseguito poi il prof. Pierluigi Valsecchi (Università degli Studi di Pavia) con un intervento a proposito delle società africane della regione del Golfo di Guinea fra Settecento ed Ottocento, ed il loro ricorrere, fin quasi alla metà del XIX secolo, alla pratica dei sacrifici umani rituali. Gli interventi degli ospiti internazionali sono proseguiti con Hicham Boutaleb (Universiteit van Amsterdam)che ha parlato della questione dei musulmani spagnoli nella storiografia iberica del XIX secolo ed a come si guardasse ad Al-Andalus come modello mitizzato di convivenza. I lavori si sono dunque avviati verso la conclusione con le relazioni di Thomas Franke (University of California, Santa Barbara) e Ahmet Gencturk (Università di Roma “Tor Vergata”) riguardanti, rispettivamente, l’origine degli schiavi africani e la loro vendita a Valencia nel XVI secolo e le missioni religiose protestanti americane e la loro opera in Medio Oriente nel XIX secolo. In conclusione ripercorrendo diversi casi studio, l’Atelier ha messo in luce come purtroppo le tensioni etniche e religiose siano state parti integranti delle relazioni fra società umane. La Storia ci insegna dunque che non si è mai davvero al sicuro dall’odio e che per questo si debba vigilare continuamente per preservare i valori alla base della convivenza pacifica fra uomini, soprattutto in un momento storico delicato come quello che stiamo vivendo. Ben vengano dunque iniziative come questa appena conclusa e promossa dall’Istituto Sangalli a difesa della libertà di espressione e della tolleranza reciproca. La Storia forse non sempre può essere Magistra Vitae ma sicuramente deve essere un punto di partenza al quale guardare per rendere migliore se non il presente almeno il futuro.
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