«I prati, i pascoli e la pastorizia del Matese», un prezioso libro (ritrovato) di Luigi Marsella

di Armando Pepe

Girovagare per il Matese e postare foto su Instagram e Facebook non moltiplica le nostre conoscenze se non si leggono i libri di chi ci ha preceduto. Chi il Matese lo ha studiato per davvero è stato il professor Luigi Marsella, direttore della Scuola Agraria di Piedimonte agli inizi del Novecento. Da agronomo con lo sguardo acuto e di profonda dottrina il professor Marsella scrisse un prezioso libretto, letto e annotato anche da Don Giacomo Vitale. La piccola ma validissima opera s’intitola «I prati, i pascoli e la pastorizia del Matese», e fu edita nel 1914 a Piedimonte presso lo stabilimento tipografico di Gabriele Bastone. Rileggiamolo insieme, cercando di cogliere le differenze tra ciò che il Matese era ai suoi tempi e come invece si presenta oggi.

Il Gruppo del Matese

«Comprende un’estensione di circa 90 mila ettari. La costituzione geologica è quasi tutta calcarea. Affiorano rocce dolomitiche nei fianchi delle alture che guardano S. Potito Sannitico, Piedimonte d’Alife, Ailano, Pietraroia, Capriati a Volturno. La neve resta sulle alture maggiori fino a giugno e a luglio. La più alta vetta è quella di Monte Miletto. Le cime più alte, oltre il Miletto, sono la Gallinola, il Mutria, la Serra del Monaco, il Pastonico (Marsella, pp. 5-6)».

Boschi

«I boschi esistenti sono quasi tutti cedui, tenuti per lo più a turno quindicennale, e in piccola parte sono d’alto fusto, senza però alcuno assestamento o turno razionale di tagli. Sono certamente gli ultimi rimasugli delle antichissime boscaglie che una volta imperavano nella regione. Vecchi ancora viventi ricordano boschi di colossali querce e faggi su larghissime estensioni di monti, ora brulle e spelate. Resta ancora a nord dell’altipiano, dov’è il lago del Matese, a circa 1060 metri di altitudine, una traccia di bosco d’alto fusto, ultrasecolare, dei duchi di Laurenzana, detta la Fascia, formata da faggi, alcuni decrepiti, con circonferenza perfino di 5 metri e dell’altezza di metri 28. Sotto di essi vegetano e fruttificano mirabilmente fragole e lamponi, che nei mesi da giugno ad agosto forniscono ai montanari una raccolta lucrosa, che viene esportata, e consumata, fino a Napoli. Da qualche anno si sono impiantati due vivai per il rimboschimento, uno presso la Regia Scuola Agraria di Piedimonte d’Alife e l’altro nel comune di Castello d’Alife. (Marsella, pp. 7-8)».

Prati

«La superficie a prato naturale nella regione del Matese si può calcolare in circa ettari 1800, di cui la maggior parte si trova nelle adiacenze del lago, da metri 1008 a 1020 di altezza e il resto negli altipiani minori. Non tutte le superfici prative si falciano, ma molte si fanno pascolare dai grossi quadrupedi, bovini, cavalli e bufali. Nelle zone più vicine ai declivi dei monti, a suolo breccioso, il fieno è scadente. Nelle parti umide e palustri, in vicinanza del lago, il fieno è tiglioso, poco buono. Nelle parti intermedie, che sono poi di gran lunga le più estese, il fieno è nutritivo, morbido, aromatico e considerato da tutti superiore al buon fieno di pianura. È indicatissimo pei cavalli ( Marsella, p. 11)».

Lago del Matese

«Il lago del Matese occupa quasi la parte centrale della grande ellisse, formata dall’altipiano omonimo, ed è situato in essa più verso sud che verso nord. D’estate è diviso in due parti, dette lago Pertusillo e lago Majore, che d’inverno si riuniscono. Oltre che dalle acque di displuvio dei monti circostanti, il lago è alimentato da sorgenti, che sgorgano nella sua sede e da altre, che vengono dal piano e dalle falde montuose adiacenti, come la Fontana Spina, la Fontana Fredda, S. Maria, ecc. L’acqua non è stagnante, ma in gran parte si rinnova, perché viene smaltita da due inghiottitoi naturali, detti le Breccie, in corrispondenza del monte Majo, e lo Scennerato, in corrispondenza del passo detto Prete Morto [l’attuale Miralago]. L’acqua assorbita dalle Breccie e dallo Scennerato si disperde nelle viscere del massiccio del Matese e si crede che contribuisca ad alimentare la grossa e pittoresca sorgente del Torano presso Piedimonte d’Alife, a 800 metri al disotto del lago. La superficie del lago è nella stagione invernale di circa ettari 500 e d’estate si riduce a circa ettari 150. In moltissimi punti vi sono delle superfici circolari di vegetazione palustre con in mezzo una sorgente di acqua; questi circoli si chiamano localmente ciotti e sono insidiosi per chi vuol camminarvi sopra, potendovi rimanere facilmente impigliato. Per traversare il lago e pescarvi si usano certi sandali, detti lontri, capaci di portare non più di due persone. Nelle adiacenze del lago e sul lago stesso vive una straordinaria quantità di rane, le quali vengono in parte prese e vendute nella buona stagione. L’unico pesce che vive in quelle acque è la tinca (Tinca Vulgaris Cuvier), la cui pesca è antichissima. Il lago del Matese è meta desiderata di molti cacciatori, i quali vi si recano per dar la caccia specialmente agli uccelli acquatici. I cacciatori usano attendere d’inverno per ore e ore e talvolta per giornate intere, la preda, chiusi in certi casotti, detti cappose, vicini alle sorgenti d’acqua. Gli uccelli acquatici, che stazionano sempre sul lago e che vi nidificano, sono: la folaga, l’anitra selvatica ed affini; d’estate vi si trovano il pieditorto comune, il tuffetto e il gabbiano; da febbraio a marzo ci passano la marzaiola, l’anatrella, il beccaccino, il frullino e gli starnotti. La cacciagione negli ultimi anni si è ridotta ai minimi termini. (Marsella, pp. 18-23)».

Pascoli

«I pascoli del Matese, dall’altitudine di 300 metri fino alle più alte vette, occupano nell’insieme un’estensione di circa ettari 42 mila. I pascoli vicino ai recinti, dove pernottano gli animali e nei quali, per eccesso di materia organica, domina la inutile flora ammoniacale, si possono trasformare nel seguente modo: si lavora il terreno e si concima con concimi minerali, vi si seminano le patate nel primo anno e nel secondo la segala, sulla quale si farà in primavera la semina di buone erbe da foraggio, specialmente di leguminose perenni. Si costituirà così un ottimo prato artificiale, dove prima non cresceva alcuna utile pianta, ma ortiche ecc. (Marsella, p. 24- 26)».

Bestiami   

«Passano l’estate al pascolo sui monti del Matese circa 450 equini (tra cavalli, muli e pochi asini), 1800 bovini, 270 bufali, 70 mila pecore e 18 mila capre. Questi animali provengono dai comuni stessi del Matese, da quelli delle sottostanti regioni campana e molisana e in parte, circa 5000 pecore, dalla Puglia (Marsella, p. 29)».

Equini

«Sono animali di razza comune, di taglia mezzana o piccola, ma forti, rustici e adatti alla vita brada. Il gruppo più importante, di circa 60 capi, è quello del Cav. Luigi Imperadore (di Piedimonte d’Alife), che li mantiene d’estate sull’altipiano vicino al lago. Vi sono circa 200 equini sull’altipiano principale, 30 sul monte Monaco, 20 sulle montagne dell’Airola e gruppi minori sugli altri pascoli (Marsella, pp. 29- 30)».

Bovini

«Appartengono in gran parte alla varietà di montagna della razza pugliese. Hanno statura piuttosto piccola e tozza, altezza al garrese in media di metri 1, 40, manto grigio, un po’ bassi davanti, pelle e peli ruvidi, corna, unghie e zoccoli grossi e forti, attitudine lattifera mediocre, sono rusticissimi e tenuti per lo più bradi. Insieme a questi bovini di montagna vi sono d’estate vacche e giovenche della varietà di pianura, che i contadini delle vallate del Volturno, del Biferno e del Calore mandano a monticare sulle alture per irrobustirle e per risparmiare foraggio. I bovini si trovano in monticazione così diffusi: 600 sull’altipiano principale, 400 sui monti di Gioia Sannitica, 300 sui monti di S. Potito, 200 attorno al monte Mutria, 70 sui monti di Letino, Gallo e Valle Agricola, 50 sul monte Stufo, e il resto un po’ dappertutto sparsi in piccoli branchi da 20 a 40 capi negli altri monti. (Marsella, pp. 30- 33)».

Bufali

«Passano l’estate sull’altipiano principale del Matese, nella distesa ad est del lago, circa 270 bufali tra grossi e piccoli, appartenenti al Cav. Luigi Imperadore e soci. Questi animali sono di una rusticità straordinaria e danno valore col latte e colle carni a foraggi scadenti e che in gran parte si perderebbero: passano le ore calde del giorno nei guazzi e negli specchi d’acqua vicino al lago. Da ogni bufala si ricavano ogni giorno da 3 a 4 litri di latte e siccome il periodo della mungitura dura almeno 6 mesi, così ogni bufala dà in media litri  600 di latte all’anno, da cui si ricavano kg. 120 di mozzarella, 6 kg. di burro e 10 kg. di ricotta. Il liquido residuo serve ad alimentare i cani da guardia e un certo numero di maiali, che segue sempre l’allevamento bufalino. Alla custodia delle bufale attendono dei guardiani detti bufalari, che le guidano e le radunano quasi sempre a cavallo, armati di lunghe pertiche terminanti a pungolo. Dormono su miseri giacigli, vivono malamente, hanno un compenso di lire 650 annue complessive. I bufali che estivano sul Matese provengono dalla pianura di Alife, dove passano i mesi da novembre a maggio. Questa estivazione non è di data recente, ma rimonta a diversi secoli. (Marsella, pp. 33- 36)».

Pecore

Sono in massima parte della razza gentile di Puglia, detta localmente spagnola, che deriva dagli accoppiamenti delle antiche pecore appenniniche con le merinos importate dalla Spagna dai Borboni di Napoli, in minima parte sono di razza locale, in alcuni comuni della provincia di Benevento ve ne sono anche di razza leccese. Sul Matese si trova un numero esiguo di pecore di fronte alla grande estensione dei pascoli, per cui esse starebbero benissimo in carne se non vi fossero le malattie e più spesso la mancanza di acqua. Mi assicura persona degna di fede che solo i proprietari di San Gregorio ne avevano, tempo fa, 20 mila. Il compenso che si dà ai pastori consiste in 600 lire all’anno tra denaro, pane, ricotta, sale, olio. I luoghi principali dove stazionano le pecore sono: Morcone (oltre 10 mila capi), Pietraroia (6 mila capi), Boiano (6 mila capi), Monte Mutria (6 mila capi), Gallo e Letino (5 mila capi), Esule (3 mila capi, di proprietà dei signori Pedone, di Manfredonia), Campo dell’Arco (2 mila capi, di proprietà dell’Onorevole Zaccagnino, di San Nicandro Garganico), San Potito (2 mila capi), Gioia Sannitica (2000 capi). (Marsella, pp. 36- 42)».

Capre

«Le capre si trovano più numerose nei comuni di Cusano Mutri (1338 capi), Gioia Sannitica (1245 capi), Faicchio (1147 capi), Morcone (1038 capi). (Marsella, p. 44)».
Considerazioni generali sulla pastorizia
«I comuni non dovrebbero inconsultamente aumentare le tasse di pascolo, poiché così, senza avvedersene, combattono gli allevamenti e distruggono una fonte di ricchezza per tutti. Sul Matese i ricoveri per gli animali scarseggiano enormemente, anzi quasi non esistono. Dovrebbero costruirsi dei ricoveri adatti ed economici. In moltissimi punti del Matese, anzi per circa 3/5 della superficie, la permanenza dei bestiami è contrariata dalla mancanza di acqua da bere. Il bestiame che non può dissetarsi mangia poco, dimagrisce, soffre il supplizio di Tantalo, cioè è costretto a digiunare in mezzo all’abbondanza. (Marsella, pp. 45- 49)».

Bibliografia
  • Luigi Marsella, I prati, i pascoli e la pastorizia del Matese Piedimonte d'Alife, Stab. Tip. G. Bastone 1914.
  • Federico Paolini, Breve storia dell'ambiente nel Novecento, Roma, Carocci 2009.
  • Armando Pepe, San Gregorio Matese dall'età liberale al fascismo  (1912-1926), Macerata, Edizioni Simple 2015.
Ringraziamenti

Si ringrazia il dottor Fabio Brandi, bibliotecario dell’Associazione Storica del Medio Volturno, per la squisita cortesia.

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