Un Dio, un Re... e un arcivescovo in esilio

A proposito del volume di Antonio Salvatore Romano, «UN DIO, UN RE O LA MORTE». Chiesa e Stato a Napoli tra Rivoluzione e prima Restaurazione borbonica (1799-1802)

A distanza di oltre un quarto di secolo dal secondo centenario della Repubblica napoletana del 1799, quella esperienza ha trovato nuovo spazio, da una prospettiva molto particolare, in una ricerca recente. Mi riferisco al libro ricco di spunti dedicato da un giovane studioso, Antonio Salvatore Romano, ai rapporti tra Chiesa e Stato all’indomani del semestre repubblicano vissuto dalla capitale del Regno di Napoli e alla figura dell’arcivescovo che guidò la città e la diocesi in quei convulsi frangenti, l’anziano teatino Giuseppe Capece Zurlo[1]. Prima di entrare nel merito del lavoro mi sembrano però necessari alcuni rilievi sulle questioni più generali cui rinvia la nuova ricostruzione di un capitolo così incandescente della storia di Napoli.
Il dato che forse colpisce di più, nel ripensare alle conclusioni della storiografia dedicata agli atteggiamenti degli ecclesiastici meridionali di fronte a un momento sconvolgente come pochi altri, è il recente, notevole ampliamento di prospettive delle ricerche in direzioni finora poco esplorate. Indubbiamente, la storiografia del Novecento non aveva mai sottovalutato né l’importanza del ruolo avuto da un clero peraltro diviso e incerto, né la forte ostilità di una parte consistente dei fedeli di fronte ai giacobini. Basti qui ricordare la scelta del generale Championnet di usare anche il miracolo di S. Gennaro come instrumentum regni e le pesanti reazioni delle anziane del popolare borgo del Lavinaio domenica 27 gennaio del 1799, al passaggio della statua di S. Gennaro, accusato di essere giacobino, perché poco prima il suo sangue si era regolarmente liquefatto[2].

Se in larga parte della popolazione la Repubblica incontrò freddezza o più spesso decisa contrarietà, non si può dire altrettanto degli ecclesiastici. Dalle mirabili pagine di Benedetto Croce fino ai contributi più aggiornati si è osservato come la Chiesa tutta fu attraversata da tensioni e scontri non dissimili da quelli che lacerarono gran parte della società civile[3]. Sia i prelati e i sacerdoti che pagarono con la vita la propria adesione agli ideali della Repubblica, sia i confratelli che si mossero con prudenza o con doppiezza nel corso di un’esperienza culturale e politica così innovativa erano forse ben consapevoli del forte rilievo dei problemi in gioco. Non è certo un caso, ad esempio, se nella stessa domenica di gennaio in cui le anziane del Lavinaio avevano manifestato la propria indignazione contro il santo divenuto all’improvviso ‘giacobino’ ci fu in Cattedrale una cerimonia importante, in cui il generale Championnet e lo Stato maggiore francese parteciparono con i due ‘Generali’ del popolo e con i prelati della Curia alla liquefazione del sangue di S. Gennaro[4].
Rispetto a queste linee di ricerca il nuovo libro di Romano privilegia soprattutto il ruolo avuto da Capece Zurlo, soprattutto in relazione ai difficili momenti successivi alla fine della Repubblica e agli atteggiamenti di ostilità verso di lui diffusi anche all’interno della Chiesa napoletana. La paziente esplorazione di fondi finora poco presi in considerazione e l’ampiezza delle questioni sollevate consentono all’autore di focalizzare bene la fermezza e la dignità con cui il teatino cercò di giustificare le sue scelte di fronte a sovrani fermi nei propri atteggiamenti di condanna e di vero e proprio disprezzo costantemente esibiti nei suoi confronti.
Si delinea così la figura di un prelato che si muove con intelligenza e accortezza, scegliendo di volta in volta i destinatari delle sue richieste di mediazione e di aiuto e non rinunciando a muovere tutte le pedine disponibili, anche dopo la decisione sofferta di rinunciare alla titolarità della sua Chiesa, pur di raggiungere il sospirato obiettivo di essere liberato dall’esilio a Montevergine. Non ci riuscì, com’è noto, e la morte lo raggiunse proprio lì, non nella città in cui era nato e dove avrebbe voluto chiudere i suoi giorni. Complessivamente, però, anche grazie alla ricca, nuova documentazione utilizzata nel libro, il profilo di Capece Zurlo appare ora meno negativo rispetto alle immagini sul suo conto così diffuse tra i contemporanei, a cominciare dalla stessa Curia arcivescovile[5].
Proprio qui, d’altra parte, le pagine attente e documentate del nuovo libro invitano gli studiosi – a cominciare, ovviamente, dallo stesso Romano – a continuare negli scavi, sia nei più importanti archivi napoletani di riferimento, sia nelle miniere vaticane. La ricchezza di molti fondi dell’Archivio di Stato di Napoli e di quelli non meno preziosi recentemente messi a disposizione degli studiosi in un Istituto prestigioso, ma attualmente molto mal guidato, come l’Archivio storico diocesano di Napoli, potrebbe offrire spunti di rilievo a ricercatori accurati ed esperti. Penso per l’Archivio di Stato alla documentazione sterminata che riflette le attività della Delegazione della Real Giurisdizione e per quello diocesano soprattutto ai nuovi fondi giudiziari disponibili come quelli che conservano gli Acta Civilia e le cause criminali.
Ancora più importanti potrebbero rivelarsi alcuni dei più consistenti fondi disponibili presso l’Archivio Apostolico Vaticano. Molti anni dopo una laboriosa indagine dedicata col collega Mancino al governo dei crimini comuni del clero nell’Italia della Controriforma, non posso non ricordare lo straordinario rilievo della documentazione che vi si conserva. Potrebbe in particolare rivelarsi cruciali per approfondire e precisare i numerosi aspetti del semestre repubblicano che restano ancora semisconosciuti lo sterminato archivio della Congregazione dei Vescovi e Regolari. Sia le decisioni centrali di un dicastero così potente, sia la serie delle Positiones, dove si conservano migliaia di fascicoli arrivati da ogni angolo della penisola sul tavolo dei cardinali della Congregazione, su iniziativa di vescovi, autorità regolari e singoli ricorrenti, offrono un’immagine della vita della Chiesa italiana spesso molto diversa da quella che si profila negli archivi locali, diocesani e non. È a queste sfide che un libro serio e ben documentato come quello scritto da Romano invita a pensare.

(Giovanni Romeo)


[1] A. S. Romano, «UN DIO, UN RE O LA MORTE». Chiesa e Stato a Napoli tra Rivoluzione e prima Restaurazione borbonica (1799-1802), Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2024. 
[2] Vedi al riguardo B. Croce, I “lazzari” negli avvenimenti del 1799, in Id., Varietà di storia letteraria e civile, Laterza, Bari 1949, pp. 180-200. 
[3] Nella impossibilità di fornire qui un elenco dettagliato dei contributi dedicati al tema negli ultimi decenni, mi limito a segnalare almeno G. Alagi, Il cardinale in castigo, in «Ianuarius», 51, 1970, pp. 148-153 e 234-7; A. Pepe, Istituzioni ed ecclesiastici durante la Repubblica Partenopea, in «Rassegna Storica dei Comuni», 15 (1989), pp. 17-71; Id., a cura di, Il clero giacobino. Documenti inediti, Napoli, Procaccini, 1999; D. Ambrasi, Il clero di Napoli nel ’99 tra Rivoluzione e Reazione, in «Campania Sacra», 22, 1991, pp. 52-81; G. Mancini et al., Alla ricerca della memoria negata, Napoli, Istituto Italiano di Studi Filosofici, 1999; Il cittadino ecclesiastico. Il clero nella Repubblica Napoletana del 1799, a cura di P. Scaramella, Napoli, Vivarium, 2000 (oltre all’Introduzione di G. Imbruglia e P. Scaramella, pp. 7-32, vedi soprattutto, insieme alla ricca Appendice documentaria relativa al clero meridionale curata da G. Mancini, pp. 219-272, i lavori di M. Miele sulle scelte dell’episcopato del Regno di fronte alla Repubblica, pp. 1-42, e di U. Parente sul Capece Zurlo, pp. 43-106); Napoli 1799 tra storia e storiografia, a cura di A. M. Rao, Napoli, Vivarium, 2002 (è in questa raccolta di saggi che si può leggere, alle pp. 295-327, un saggio di primo piano, quello dedicato da G. Imbruglia a Vita religiosa e lotta politica a Napoli nei mesi della rivoluzione). I temi affrontati nel libro che qui si recensisce erano già stati in parte oggetto di due solidi contributi: uno dello stesso A. S. Romano («Per l’assenza di Sua Eminenza». Il governo della diocesi di Napoli durante l’esilio del cardinale Giuseppe Maria Capece Zurlo (1799-1801), in «Campania Sacra», 45, 2014, pp. 93-214), l’altro, dovuto a M. Mancino (Un arcivescovo da dimenticare. Momenti della damnatio memoriae di Giuseppe Capece Zurlo agli esordi dell’episcopato di Giuseppe Ruffo Scilla, in «Campania Sacra», 48, 2017, pp. 33-75). Infine, spunti molto ricchi sugli ecclesiastici napoletani del tardo Settecento sono in un libro suggestivo scritto da uno studioso di cui si deve rimpiangere la precoce scomparsa. Mi riferisco a U. Dovere, Il buon governo del clero. Cultura e religione nella Napoli di antico regime, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2010. 
[4] Vedi A. Romano, «UN DIO cit., I capitolo (pp. 17-92). 
[5] Vedi al riguardo le osservazioni di M. Mancino, Un arcivescovo da dimenticare cit., pp. 58-59.

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