Paolo Aringhi (1600 ca.-1676), teologo, erudito e appassionato di archeologia cristiana

Nel Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo, fulcro del sito Ereticopedia, è stata pubblicata la voce su Paolo Aringhi (Roma, 1600/1603 – Roma, 2 gennaio 1676), teologo, erudito e appassionato di archeologia cristiana, appartenente alla Congregazione oratoriana, che ha raccolto Le vite e detti de’ padri e fratelli della Congregatione dell’Oratorio in tre volumi, rimasti poi inediti tra i manoscritti della Biblioteca Vallicelliana, e ha pubblicato nel 1651 Roma subterranea novissima, ampliamento in latino della Roma sotterranea di Antonio Bosio, opera pionieristica sui cimiteri ipogei cristiani di Roma antica.

La voce è redatta da Stefano Zen ed è consultabile alla pagina: http://www.ereticopedia.org/paolo-aringhi

L’evangelista valdese Antonio Cornelio e la comunità svizzera a Piedimonte d’Alife nel primo Novecento

Un agile saggio di Armando Pepe si propone di analizzare in modo rigoroso il carteggio intrattenuto dall’evangelista valdese Antonio Cornelio con membri della propria Chiesa e importanti autorità politiche. Dalla corrispondenza emergono squarci di una vita trascorsa all’insegna della fede religiosa, propagata sempre con sincerità e fiera compostezza, negli anni che precedono e seguono la prima guerra mondiale. L’abbandono dell’ordine dei frati Alcantarini, la fidelizzazione evangelica, l’instancabile apostolato attraverso vari centri della Campania e del Molise, si compenetrano e sovrappongono in una narrazione avvincente e non priva di momenti drammatici. Sullo sfondo, la piccola comunità svizzera di Piedimonte d’Alife (ora Piedimonte Matese), con le proprie tradizioni mantenute faticosamente vive nel tempo.

Il testo, pubblicato sul n° 6/2018 della rivista "Quaderni eretici", è consultabile on line alla pagina: http://www.ereticopedia.org/antonio-cornelio-e-la-comunita-svizzera-a-piedimonte

Una più sintetica voce su Antonio Cornelio è invece consultabile alla pagina: http://www.ereticopedia.org/antonio-cornelio

Novecento Mediterraneo (Procida, 29 settembre-3 ottobre 2018)

di Antonio D'Onofrio

La Summer School “L’impresa culturale del Mediterraneo” è un appuntamento che ormai da tredici anni riunisce sull’isola di Procida alcuni tra i più importanti studiosi del Mediterraneo, declinando il Mare Interno in tutti i suoi aspetti e cercando, in qualche modo, di alimentare lo studio di questa realtà in cui l’Italia tutta e il Mezzogiorno in particolare sono immersi.
Diversamente dalle precedenti recenti edizioni della Scuola estiva, tema portante dell’edizione 2018 è stata una cronologia ben definita, gli anni venti e trenta del Novecento. Questo ha reso possibile un programma profondamente multidisciplinare, volto ad esplorare con curiosità e rigore scientifico quegli anni particolari, politicamente intensi e visti, nell’immaginario collettivo, come anni di “semplice” transizione tra i due grandi conflitti mondiali. Il ventennio tra le due guerre è tuttavia anche un periodo ricco di trasformazioni importanti nel campo della letteratura, della storia, dell’arte, dell’architettura.
Con questo spirito, dal 29 settembre al 3 ottobre 2018, nello splendido e suggestivo scenario di Terra Murata, si sono succeduti circa trenta studiosi afferenti a diverse discipline: musicisti, architetti, storici, storici dell’arte, antropologi, letterati, giornalisti, che si sono interrogati sui temi di un Novecento Mediterraneo, declinandolo nei loro campi di studio e di ricerca.
I lavori sono stati aperti da un concerto, tenuto dal chitarrista classico Carlo Mascilli Migliorini, che ha esplorato i suoni dei primi anni del ‘900, epoca in cui la chitarra raggiunge la sua piena maturità tecnica e organologica. Un periodo di grandi compositori e virtuosi, in massima parte iberici e sudamericani, ma non solo.
Francesca Corrao, Wael Farouq e Aldo Nicosia hanno esplorato poi la letteratura e la cultura di una parte troppo spesso trascurata, se non dimenticata, quella sponda sud del Mediterraneo che vive in quegli anni momenti intensi e complessi di trasformazione profonda.
Questi sono anche gli anni in cui si fondano due differenti visioni del Mediterraneo: da un lato il mare di Braudel, l’unicum sistemico che arriva a nord fino all’ultima pianta di olivo e a sud fino alla prima palma, dall’altro il Mare nostrum del regime fascista, il mito dell’unità romana del Mediterraneo. Lo storico francese Maurice Aymard ha quindi ricostruito gli anni algerini di Braudel e il processo di nascita di quella che sarà poi la sua grande opera, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II. Un Mediterraneo che Braudel scopre al contrario, all’inverso, prima da sud e poi da nord.
Andrea Giardina ha poi esplorato alle radici la retorica fascista del Mare nostrum, ricostruendo quello che è il recupero, o meglio la reinvenzione della romanità da parte del regime fascista attraverso la pubblicistica dell’epoca. Un processo che crea una romanità nuova, moderna, in cui le due dimensioni convivono in parallelo, affiancandosi come a formare un’unica strada. Accanto ad elementi romani, come la lupa, le strade lastricate o i centurioni, ritroviamo allora nella pubblicistica fascista aerei, incrociatori, automobili, simboli di velocità e ardimento che dovrebbero, nella retorica del regime, discendere negli italiani e nell’Italia dalla sua romanità, dal suo passato imperiale che deve trasformarsi in un presente imperiale. Ecco così la seconda guerra mondiale trasformarsi nella Quarta guerra punica o l’Inghilterra trasformarsi nella perfida Albione, analogamente alla Cartagine sine fide.
In una terza sessione dei lavori, coordinati da Rosanna Cioffi, storici dell’arte come Maria Grazia Messina e Fabio Benzi hanno illustrato le figure di questo Novecento mediterraneo, seguendo percorsi di lunga durata volti a ricostruire le influenze e i rimandi dell’arte del primo novecento e riuscendo in questo modo a descrivere per immagini questi anni, con spunti che si snodano a prescindere dal clima politico dell’Europa a loro contemporanea, anche se talvolta finiscono per legarsi con quest’ultimo e con la sua propaganda, non per questo, però, perdendo il loro valore artistico.
Scritture, riscritture, figure, ma anche narrazioni di un mondo mediterraneo del primo Novecento che in questi giorni procidani si è cercato di approfondire. Proprio in quest’ultimo senso, la quarta sessione della Summer School si è concentrata su differenti modelli di narrazione del Mediterraneo, attraverso le relazioni di un antropologo come Dionigi Albera e di studiosi di letteratura come Paola Gorla e Davide Aliberti, coordinati da Daniele Pompejano. Narrazioni come la reinterpretazione di Ibn Khaldun da parte di José Ortega y Gasset o gli echi di Sefarad nella Spagna e nel Marocco spagnolo, nella riorganizzazione anche linguistica di questi territori e di queste comunità; o ancora narrazioni come le biografie di tre antropologhe, studiose del Mediterraneo con uno sguardo profondamente da sud, dall’Algeria, che si ritrovano a vivere esperienze particolari e profonde, come possono essere collaborazioni con la CIA americana o esperienze nella resistenza francese e nei campi di prigionia nazisti.
In questo fitto programma non può poi non trovare spazio la storia e soprattutto gli storici dei primi anni del Novecento, così come il loro rapporto con la retorica di quegli anni. Compito affidato ad Aurelio Musi e Francesca Canale Cama che, coordinati da Mario Tosti, esplorano biografie e opere di storici italiani come Benedetto Croce, Arrigo Solmi, Gioacchino Volpe e Pietro Silva, laddove soprattutto quest’ultimo, con la sua opera sul Mediterraneo, rappresenta non soltanto la retorica dell’Italia fascista, ma un approccio funzionale della storia che viene da lontano, dalle retoriche mazziniane, dalla nazione come centro e dalla sua azione come funzione. Il Mediterraneo diventa quindi un oggetto geografico in cui si calano le relazioni e le circolazioni tra nazioni.
Un nuovo salto nel campo “artistico” lo si è compiuto attraverso l’intervento di Fabio Mangone ed Ezio Godoli, che hanno spiegato il percorso fatto in architettura nei paesi del bacino Mediterraneo, particolarmente sulla costa nordafricana, con nuove forme che si sovrappongono e sostituiscono quasi completamente le forme precedenti, soprattutto nei luoghi di dominazione francese.
L’ultima giornata di lavori si è aperta con Alessandro Vanoli ed Egidio Ivetic, che si sono completati a vicenda narrando un Mediterraneo differente, non comune, da un lato elemento in cui i popoli a maggioranza musulmana si riversano per ricercare le proprie radici classiche e costruire la propria identità nazionale, dall’altro limite di un mondo balcanico che si stacca dalla dimensione austro-ungarica da un lato e ottomana dall’altro e deve scoprire una sua dimensione, trovandola anche in quel mare Adriatico sul quale si affaccia con una prepotenza geografica ineguagliabile nel bacino Mediterraneo (tra isole e costa continentale, si calcola che la sola Croazia abbia più chilometri di costa del Nordafrica).
La chiusura, come di consueto, è stata affidata ad una tavola rotonda di stampo giornalistico, organizzata dal corrispondente de El Periodico Rossend Domènech e che ha raccolto sul tema della guerra civile spagnola Augusto Guarino, Isabel Turull e Daniel Pommier, approfondendo i diversi ambiti di questo conflitto, dalla politica alla letteratura, rispettando fino in fondo, dunque lo spirito interdisciplinare e trasversale dell’intera Summer School.

Usignolo: storia di un canto

di Francesca Favaro

Il carnet de recherche «Studiosus» (https://studiosus.hypotheses.org) si è arricchito nella sezione generale di un saggio dal titolo Usignolo: storia di un canto. Prima parte di un percorso critico che verrà ampliato con un seguito e uno sviluppo ulteriori, il saggio accompagna lo snodarsi, attraverso le epoche, del topos letterario che ha come protagonista l’usignolo, sofferto e magnifico cantore della notte. Dalla Grecia di Saffo e Alceo, nei cui superstiti frammenti ancora riecheggiano, intatte e fresche, le note dell’usignolo, voce di primavera, attraverso lo struggimento del Virgilio georgico, si giunge alla modernità: alla dolente solitudine di Petrarca, alle melodie cinquecentesche, sino al luccichio del Barocco, che tramuta il malinconico uccellino in un virtuoso impegnato in un perpetuo agone.

Per leggere il saggio collegarsi alla pagina: https://studiosus.hypotheses.org/129